Il segreto del Città di Ciampino, a detta di tutti i suoi protagonisti, è nel gruppo. Un gruppo di ragazzi che si vogliono bene e si divertono, lavorando con la giusta spensieratezza e con il sorriso sulle labbra. Uno dei simboli di questo modo di vivere il calcio è Fernando Silva, meglio conosciuto come “Il Mago”, allenatore in seconda di mister Granieri ma ancor prima ‘uomo spogliatoio’ di casa City.

Fernando, ormai sei un’istituzione a Ciampino, ma come è iniziata la tua avventura qui?

Se sono un’istituzione è solo per questioni di carta di identità, nel senso che c’ho una certa età! Scherzi a parte, essendo di Ciampino avevo cercato più volte un’occasione per collaborare con la società della mia città, ma non era mai capitata quella giusta. Spesso avevo affrontato il City da avversario, ma è stato dopo la promozione in serie D che è cambiato qualcosa. Da ciampinese, in me si è risvegliato quel famoso senso di appartenenza, cosa che purtroppo non è accaduta nella maggior parte dei miei concittadini. Io sono un uomo di calcio vecchio stile, uno di quelli che fa questo lavoro soprattutto per passione e per il quale la maglia è sacra, soprattutto se parliamo dei colori della squadra della città in cui vivi! Così ho chiesto di poter collaborare con la società, mi sono messo a disposizione facendo capire fin da subito che non mi interessavano rimborsi economici e cose simili, ma solo condividere con il Città di Ciampino la storica promozione in serie D. L’anno passato ho vissuto un’esperienza eccezionale, al di là del risultato del campo, perché ho potuto rivivere sulla mia pelle il grande calcio, quello che avevo assaggiato da giocatore, respirare un’aria che non si discosta di molto da quella del professionismo, accostarmi a piazze importanti in cui il calcio è molto sentito, con spalti gremiti.

Da calciatore, fin dove sei arrivato?

Quando ero alla Lupa Frascati abbiamo vinto lo scudetto Allievi Regionali e siamo passati tutti in prima squadra, nell’allora serie C2. La società affrontava il classico anno ‘low cost’, in gruppo eravamo tutti ragazzini e 4-5 senatori, infatti siamo retrocessi e da quel momento ho iniziato la mia trafila nel calcio dilettante. Sembra strano ma io non ero uno di quei senatori, all’epoca ero giovane, mica ho iniziato con l’over 50 del Pezzana!

Già allora si parlava del tuo amato “calcio champagne”?

Al massimo calcio gazzosa perché a quell’età lo champagne ce lo vietavano! Scherzi a parte, se a uno qualsiasi dei ragazzi che ho allenato parli di calcio champagne sicuramente ti domanda ‘dov’è il Mago?’. Mi associano a un calcio di altri tempi: serio, professionale, che però mette al primo posto il divertimento.

E tu ti diverti pure dall’altra parte della barricata…

Quando arrivo al campo tutti si chiedono perché io sia così contento. Purtroppo oggi il divertimento, la passione, il gioco passano in secondo piano. Il mio approccio con i ragazzi si basa proprio su questo: per interagire al meglio devono sentire che sei uno di loro, che tu per primo hai voglia di divertirti, altrimenti è difficile che si divertano loro.

Questo vorrebbe dire che fai finta di divertirti per farli contenti? Perché dall’esterno sembra invece che tu ti diverta anche più di loro!

No, assolutamente, lo faccio in modo naturale. In questa squadra quelli che si divertono di più siamo io e Carnevali: con lui c’è un rapporto particolare proprio perché abbiamo questa voglia di scherzare e ridere, ma poi durante la partita ci arrabbiamo anche più degli altri!

Passiamo alla domanda che tutti aspettano: come nasce il soprannome Mago?

Diciamo che ci convivo da tutta la vita, ed è nato semplicemente per l’assonanza tra Mago Silva e Mago Silvan. In più io ci gioco sopra: mi piace provare sulla mia pelle la magia del calcio, vivere una vita magica cercando di realizzare anche quei sogni che solitamente si chiudono nel cassetto.

In campo, quindi, non potevi che essere un magico numero 10…

Infatti ho sempre giocato con il 10, ero il classico rifinitore dietro le punte. Sono sincero: tecnicamente ero sopra le righe, potrei giocarmela anche adesso, ma quando facevo il giocatore a livello fisico non ero molto prestante. Da allenatore mi arrabbio come una iena se un giocatore non fa lo scatto in più o se non dà fino all’ultima goccia di sudore, non sopporto chi si tira indietro fisicamente, mentre quando giocavo ero sempre l’ultimo.

E di testa?

Beh con la mia altezza non poteva mai essere il colpo di testa la mia arma migliore! Scherzi a parte, di testa ero una via di mezzo, la mezza punta genio e sregolatezza, ma sono sempre stato molto legato alle squadre in cui ho giocato.

Quanto sei legato a questa società?

Tanto, perché mi ha dato l’opportunità di rivivere un sogno, e mi è rimasta dentro la rabbia di non averlo potuto continuare. Questo amplifica la nostra voglia di rivalsa, anche perché a me i campionati anonimi non piacciono: devo lottare sempre per un obiettivo altrimenti faccio fatica anche ad alzarmi la mattina.

Ti aspettavi una prima parte di stagione al vertice?

Quest’estate la società mi ha chiesto se preferissi allenare la Juniores o rimanere a fare il secondo in prima squadra. Ha prevalso la mia voglia di restare con i ragazzi per vivere insieme una stagione indimenticabile, perché immaginavo che avremmo potuto far bene. Tre quarti della rosa è quella dello scorso anno, sono rimasti molti giocatori importanti, senza contare che abbiamo degli ottimi under. Se gli over sono dei complici per me, gli under sono la mia forza: mi piace essere una chiocchia per loro, insegnargli cose nuove, aiutarli a crescere, e loro mi danno tante soddisfazioni. Sono dei bravi ragazzi, educati, hanno voglia di sacrificarsi. D’altronde io ho un figlio di ventidue anni quindi con loro mi sento quasi un padre, calcistico si intende!

E tuo figlio ha giocato a calcio?

Ha giocato fino ad arrivare a ridosso della prima squadra ma ora studia all’università, anche se il calcio ce l’ha nelle vene come tutti i Maghi! Io l’ho sempre lasciato libero di scegliere la sua strada: posso sostenerlo ma è lui che deve imparare a volare. Alessio è il mio vanto più grande, anche perché siamo diventati grandi insieme: sua mamma è venuta a mancare quando aveva 14 anni e da quel momento siamo diventati una cosa sola, per un periodo l’ho perfino allenato! Sono orgoglioso di lui e di quello che è diventato, e in parte lo sono anche di me stesso perché non è sempre stato facile.

Che rapporto hai con mister Granieri?

Noi siamo nati come ‘coppia di fatto’: di solito il mister porta il suo secondo, lui invece mi ha trovato qui. Sono orgoglioso del fatto che i ragazzi della prima squadra abbiano garantito per me nonostante lui non mi conoscesse, ed ora eccoci qui insieme a tutti gli altri membri dello staff, con cui c’è ormai un rapporto quasi fraterno.

Il tuo obiettivo stagionale?

Non si dice, per scaramanzia, ma voglio crederci fino alla fine. I campionati vanno affrontati per dare il massimo e arrivare il più in alto possibile. Per il resto, l’obiettivo è che qualche ragazzo possa spiccare il volo verso il grande calcio.

Il prossimo anno resti a fare il secondo o ti prendi la Juniores?

Io ho allenato sempre nel settore giovanile e ho iniziato tardi, non sapevo se avrei amato farlo nel calcio dei grandi. Questa esperienza mi ha fatto capire che mi piacerebbe, quindi vedremo!

Vuoi fare le scarpe a Mirko?

Mai! Sono il tipo che si toglierebbe di mezzo anche solo se qualcuno la pensasse, questa cosa! Potrei farlo altrove, e se arrivasse l’occasione sarei pronto a mettermi in gioco, ma mai al suo posto.