Insieme allo storico fisioterapista del City, Stefano Cavalaglio, è senza dubbio quello che al Superga può vantare la maggiore “anzianità di servizio”. Ecco perché pensare di fare una semplice e breve intervista con lui è impossibile: troppe le cose da raccontare, i ricordi da rivivere, i progetti futuri di cui parlare. Perché Giuseppe Porcella va a ruota libera, e cercare di arginarlo sarebbe pura follia!

Sei probabilmente il più anziano del Città di Ciampino, lo sai questo?

“Sicuramente sono il più titolato, insieme ai presidenti ovviamente! Scherzi a parte, quando sono arrivato qui allenavo i Piccoli Amici 2004, gli stessi 2004 che ad oggi fanno i Giovanissimi Elite. Alcuni di loro sono ancora con noi: Passa, Coniglio, Riggi… Quindi direi che di tempo ne è passato parecchio”.

Qual è il ricordo più bello?

“La vittoria dell’Eccellenza, perché rispetto agli altri campionati che abbiamo vinto quell’anno eravamo partiti in sordina, nessuno si aspettava niente da noi, ed anche per questo è stato straordinario. Devo dire, però, che baratterei tanti campionati vinti con l’anno della retrocessione dalla serie D: in questa categoria assapori il calcio che conta, ti interfacci con tante realtà importanti, vivi emozioni forti. Retrocederei ancora tante volte, se potessi scegliere: meglio vivere la D retrocedendo piuttosto che non viverla affatto”.

Negli anni hai ricoperto vari ruoli, e oggi praticamente passi tutto il pomeriggio al Superga. Come è iniziato tutto?

“Sono arrivato qui per lavorare solo con la prima squadra, e contemporaneamente ero anche al Bettini. Al termine di quella stagione il presidente mi ha corteggiato per ‘avere l’esclusiva’, e alla fine ho ceduto, prendendo due gruppi di scuola calcio e mantenendo la prima squadra. Da allora, ho sempre lavorato con i grandi cambiando però i gruppi della scuola calcio di anno in anno, e da tre anni a questa parte ho iniziato ad occuparmi anche dell’agonistica. Nello specifico, in questa stagione ho la gestione dei Primi Calci 2010 e degli Esordienti 2007, in più sono responsabile di fascia dei Primi Calci e dei Piccoli Amici e di tutta la parte motoria della scuola calcio, senza dimenticare il mio ruolo di preparatore con i 2003 e i 2004”.

Ottimo… Riesci ad avere anche una vita fuori da qui?

“Diciamo di sì (ride). Una cosa è certa, stare vicino ad una persona come me non è per niente facile, visti i ritmi e gli orari che ho. Spesso ho trascurato gli affetti ma oggi posso dire di essere fortunato perché la persona che mi è accanto ha capito che questa mia vita calcistica è per me importante. Il sabato esco la mattina e torno a fine giornata, idem la domenica, poi la sera qualche partita da guardare in televisione si trova sempre, e non tutti accetterebbero questi ritmi. Ecco, Marta è brava non solo a comprendermi, ma a sedersi accanto a me per vedere insieme ogni tipo di partita. Mi auguro che nei piccoli ritagli di tempo che mi rimangono io sia in grado di riuscire a ricoprire bene anche il mio ruolo di fidanzato, e a dedicarle le attenzioni che merita”.

Lavorare con i giovani significa saper essere un educatore oltre che un allenatore. E tu devi esserlo rapportandoti con diverse fasce di età. Quanto è difficile?

“Se c’è una dote che mi riconosco è quella di riuscire ad adattarmi molto velocemente al ‘pubblico’ che ho davanti. Con i piccolini devi saper essere una figura protettiva, un maestro, riuscire a dar loro sicurezza e consapevolezza oltre che insegnamenti tecnici; con i giocatori delle prime squadre è diverso, devi assecondarli, mentre con i ragazzi del settore giovanile riesci a dare nozioni vere e proprie perché sono in una fascia di età in cui apprendono e soprattutto imparano”.

E loro ti seguono?

“Fin troppo! Alcuni mi scrivono in privato per questioni che riguardano l’alimentazione o la cura del proprio corpo, c’è un ottimo rapporto anche perché li conosco ormai da anni. I bambini della scuola calcio invece dipendono ancora molto dai genitori, anche per quanto riguarda i consigli”.

Analizziamo singolarmente le categorie con cui collabori quest’anno, partendo dai 2004. Visto che li conosci così bene, ti aspettavi una stagione simile da parte loro?

“Ti dico la verità, me la aspettavo. Lo scorso anno, quando stavamo per retrocedere, con Davide Olivetti ci siamo prefissati un preciso obiettivo: ci saremmo salvati e l’anno successivo avremmo raggiunto le fasi finali. Lo abbiamo fatto per permettere ai ragazzi di vivere spensierati ma anche per darci forza in un momento difficile. Quest’anno dopo le prime amichevoli io e Davide eravamo convinti del fatto che avremmo potuto raggiungerle davvero, queste finali, nonostante con gli altri parlassimo di obiettivo salvezza. Oggi dico che dobbiamo avere la presunzione di credere che ce la faremo, perché forse quello che ci manca è proprio la consapevolezza di poter stare tra le grandi”.

Tu con Davide Olivetti hai un rapporto molto stretto, quasi simbiotico, nonostante abbiate dei caratteri completamente diversi. Vi capita mai di discutere?

“Quando discutiamo lo facciamo per bene, senza peli sulla lingua, ma dopo un paio di giorni passa tutto. Abbiamo caratteri diversi ma una cosa in comune: quando ci confrontiamo su questioni calcistiche nessuno vuole fare un passo indietro. Non capita molto spesso però, tanto che l’altra mattina gli facevo notare come nella mia lista di contatti preferiti lui venga prima di tutti i miei familiari… Ogni mattina alle 7.15 la mia prima telefonata è per lui, e se per qualche motivo non lo chiamo è lui a farlo anche un pochino preoccupato per non avermi sentito!”.

Se non è amore questo…

“Scherzi a parte, il nostro è un ottimo rapporto: capita a volte che lui abbia bisogno di parole di conforto da parte mia, in altre situazioni è il contrario, diciamo che riusciamo a compensarci. Una cosa però voglio dirla: in questi anni Davide non mi ha mai presentato alla squadra come un preparatore atletico ma ha sempre parlato di me come un allenatore, al punto che per i ragazzi noi siamo ‘i mister’. Quest’anno c’è anche Matteo Rendini, e la collaborazione è totale. So che Davide si fida ciecamente di me, in settimana come in partita, e questa cosa non è facile da trovare in uno staff”.

La squadra dall’esterno sembra molto unita, credi che questo incida sugli ottimi risultati che sta ottenendo?

“Per vincere bisogna avere dei gruppi forti, sani, non voglio dire di ‘uomini’ perché non è la categoria adatta ma sicuramente servono giocatori di personalità. I ragazzi quest’anno hanno fatto un passo avanti incredibile, e c’è stato un cambio di mentalità da parte loro. Credo che il punto di svolta ci sia stato una domenica di inizio campionato: con Davide abbiamo intuito che avevano fatto tardi a una festa, infatti la partita non è andata bene; ecco, da quella successiva c’è stato un cambio drastico e radicale, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il capitano ogni sabato sera manda un messaggio sul gruppo con varie raccomandazioni e incitamenti, Edson Tiesse questa settimana è partito per Madrid ma nonostante fosse fuori il sabato sera è stato lui a mandarlo al posto del capitano, a testimonianza che questo è un grande gruppo, del quale anche chi gioca poco o non gioca affatto si sente parte integrante”.

Passiamo invece ai 2003. Anche in questo caso la stagione è da applausi, anche se i risultati sono stati forse più altalenanti. Qual è il tuo giudizio a riguardo?

“Rispetto ai Giovanissimi Elite, quello dell’Under 16 è un girone di ferro, incredibilmente livellato verso l’alto, e ogni sabato ci sono sorprese perché le squadre forti sono veramente tante: a me ricorda la serie A del 2001, quella delle sette sorelle, e noi possiamo dire di essere una di loro. Ho conosciuto bene Marco Francolini solo in questa stagione, ma già lo scorso anno mi fermavo spesso a guardare i suoi allenamenti perché sono un inguaribile curioso. Mi ha sempre impressionato, e sono onorato di aver avuto la fortuna di collaborare con lui, anche insieme a Riccardo Cottani. Si è subito creato un ottimo rapporto, fin da quando abbiamo iniziato a programmare la stagione in agosto: lui si è fidato ciecamente di me ed ha sempre voluto la mia presenza in panchina, interpellandomi, chiedendomi consigli anche nei momenti difficili, e di questo sono orgoglioso”.

Spendiamo una parola per Luca Avellini, che recentemente si è dovuto fermare per un infortunio.

“Partiamo da un antefatto: due settimane prima che si infortunasse mi sono trovato a fare un discorso ai 2003 e ai 2004, con alcune raccomandazioni. Visto che ci stavamo giocando qualcosa di importante gli ho consigliato di evitare di fare tornei a scuola, partitelle con gli amici e similari per non rischiare infortuni: alle scuole superiori l’attività fisica non è controllata, quindi era necessario stare molto attenti, concentrandosi per provare a raggiungere l’obiettivo. Una settimana dopo questo discorso mi è arrivata la notizia di Avellini: puoi immaginare quale sia stata la mia reazione… C’è da dire, però, che Luca è un ragazzo d’oro, e a lui mi legano ricordi importanti. Lui nasce terzino destro, e quando con Davide allenavamo i 2003 abbiamo puntato forte su di lui in un momento difficile. Per dirla tutta, credo che se non ci fossimo inventati di spostarlo in avanti a fare l’attaccante probabilmente saremmo retrocessi! A un certo punto della stagione abbiamo deciso che se dovevamo morire, almeno saremmo morti felici, e ci abbiamo provato. I risultati ci hanno dato ragione, e fin da subito ha letteralmente spaccato gli equilibri al punto che bastava dargli la palla e lui faceva la differenza”.

Passiamo al discorso della scuola calcio. Come responsabile motorio e responsabile di fascia, insieme a Gian Luca Marzullo e Davide Olivetti hai preso in mano questo settore in una stagione in cui si è cambiato molto.

“Sicuramente quest’anno ripartire non era facile ma anche per questo è stato stimolante. Quando perdi persone del calibro di Giordano Moroncelli, che ha dato tanto non solo alla società ma anche a noi come persone, e Claudio Peroni, che ho sempre affiancato in passato e con cui avevo e ho un bellissimo rapporto, devi ripartire da zero. Capiremo se siamo stati bravi solo a fine anno, la cosa certa è che stiamo facendo le cose con una logica, e memori degli errori fatti in passato stiamo cercando di non ripeterli. Il mio lavoro con le due categorie che seguo è diverso. Con i 2007 dobbiamo avere un unico obiettivo: da qui a due anni dobbiamo portare il numero più elevato di ragazzini a fare i Giovanissimi. Mi rendo conto che un discorso del genere possiamo farlo io, Davide Olivetti, e tutti quegli istruttori che possiamo definire filo societari. Chi non lo è guarda alla singola partita, punta magari a vincere un torneo, non ragiona in prospettiva. Noi abbiamo l’obbligo morale, tecnico e affettivo di lavorare a lungo termine, anche se a volte non è facile e soprattutto non è facile farlo capire ai ragazzi. Dalla fase Esordienti ai Giovanissimi cambia tanto a livello strutturale, coordinativo, condizionale, quindi può succedere che oggi un giocatore sembri pronto e dopo due anni non lo sia più, o viceversa che un ragazzo oggi non sia pronto e lo diventi al momento del salto. Per quanto riguarda gli altri gruppi, siamo molto contenti di come stanno lavorando i ragazzi che guidano le varie squadre. Ci sono parecchi istruttori nuovi, arrivati quest’anno, che stanno dimostrando di avere entusiasmo e voglia di fare, di sperimentare, di chiedere e confrontarsi, oltre che una grande preparazione. Devo dire che siamo molto contenti del loro lavoro”.

Con i 2010 invece avete già vinto due tornei importanti…

“È vero, e ai ragazzi vincere fa sempre piacere, ma non è quello l’obiettivo che dobbiamo prefissarci. Bisogna lavorare tanto, farli uscire dalla fase di egocentrismo che vivono e insegnargli a stare all’interno di un gruppo. Infine, un istruttore di questa fascia di età deve far crescere i bambini sotto il punto di vista coordinativo, educativo e tecnico”.

Qual è il tuo rapporto con questa società?

“Questa ormai per me non è una seconda casa, ma forse di più. La società e i presidenti Cececotto e Fortuna mi hanno dato tanto, ma anche io credo di aver dato tanto al Città di Ciampino. Non nascondo che negli anni ho avuto colloqui con altre società, ma solo perché ritengo che sia rispettoso quando qualcuno ti cerca andare a parlare con lui. Devo dire, però, che non mi è mai passata per la testa l’idea di poter cambiare: qui si lavora bene, e dopo tanti anni ho costruito rapporti umani così importanti che non vorrei mai lasciare. Il problema si porrà il giorno del mio matrimonio, perché dovrò portare tante persone del Città di Ciampino in Calabria a festeggiare con me. Dopo di allora, potrò anche pensare di andar via!”.

Quali sono gli obiettivi a breve e a lungo termine che ti poni?

“Questa società deve diventare ancor di più uno dei punti di riferimento non solo dei Castelli Romani ma di tutto il territorio. È difficile trovare una metodologia e un ambiente lavorativo come quello che possiamo offrire noi, e lo dico con tanta presunzione perché so cosa c’è dietro ogni allenamento. C’è un lavoro che parte dalla prima chiamata della mattina alle sette meno un quarto con Davide Olivetti, seguita da quella delle sette e cinque con Gian Luca Marzullo e dalla successiva di Davide e Gian Luca. Alle otto i nostri tre telefoni sono già quasi scarichi! Il rapporto stretto con la Sampdoria, che ci ha riconosciuto come un suo Centro Tecnico nell’ambito del progetto Next Generation, non potrà che darci una nuova spinta. Il nostro fine deve essere quello di acquisire sempre più consapevolezza nei nostri mezzi, fino ad arrivare al punto in cui non guarderemo più agli altri ma soltanto a noi stessi”.