In casa Città di Ciampino ogni estate è possibile assistere ad una simpatica scenetta: Tiziano Carnevali arriva con il suo bel sorriso, spesso accompagnato dall’inseparabile figlio Manuel, e dopo aver definito il suo accordo come istruttore della scuola calcio prova a convincere la dirigenza, e soprattutto se stesso, che con il calcio giocato ha chiuso. “No, no, basta, ormai sò vecchio, mi sono stufato di giocare”. Naturalmente non ci crede nessuno, e tutti sanno che alla partenza del ritiro lui sarà lì per primo, pronto ad iniziare una nuova avventura. Anche quest’anno è andata esattamente così: nonostante volesse smettere, Tiziano ha iniziato la stagione alla grande, con la sua fascia da capitano al braccio e la solita innata voglia di far correre il pallone (“Devo per forza far correre la palla, perché in alternativa dovrei correre io e non se ne parla proprio”).

Capitano, qual è il tuo segreto? Alla soglia dei 40 anni sei ancora qui, testa alta e petto in fuori…

Eh no, attenzione, pancia in fuori! Mettiamole in chiaro queste cose altrimenti la gente pensa che ho un bel fisico!

Scherzi a parte, non molli…

Ogni anno, visti gli acciacchi, penso seriamente di smettere. Ma poi mi faccio coinvolgere e riparto come se fossi un ragazzino: qui ho tanti amici, e soprattutto ancora mi diverto ad allenarmi. Nel momento in cui farò fatica a gestire gli allenamenti, e soprattutto non riuscirò più a stare appresso a tutti questi ragazzini, smetterò sul serio.

Finora le hai quasi giocate tutte, visto che a fermarti c’è stata solo una squalifica per somma di ammonizioni…

Con il mio tipo di gioco è più semplice: in campo sto fermo, quindi difficilmente mi posso far male! La squalifica mi ha fatto un po’ rifiatare, ma ammetto che stare in tribuna è terribile: in campo puoi provare a dare una mano, da fuori sei una persona inutile.

Effettivamente con te ogni partita è una lezione di calcio, visto che a parte Martinelli i tuoi compagni di reparto sono quasi tutti giovani.

Noi grandi abbiamo una grande fortuna: i nostri giovani ascoltano molto e hanno una grande voglia di imparare. Io cerco di insegnare loro che la partita va vissuta con la giusta tensione, senza esagerazioni, perché se si sente troppo la gara si corre il rischio di sbagliare. Il calcio per loro è ancora un gioco, devono affrontarlo con tranquillità perché facendo le cose semplici e rimanendo liberi di mente si ottengono risultati migliori, mentre quando si è troppo ansiosi si rischiano errori di foga. L’esempio lampante del giocatore ansioso è il mio amico Martinelli, ma lui può permetterselo perché le sue prestazioni sono sempre di livello. Io invece questa tranquillità me la porto in campo fin da quando ho iniziato: forse è un pregio, forse un difetto, ma non vivo la tensione del pre-gara al punto da andare fuori di testa.

Questa mentalità cerchi di trasmetterla anche ai bambini della scuola calcio che alleni?

Certamente, cerco di fargli vivere lo spogliatoio e l’allenamento come se fossero già nel calcio dei grandi perché penso che debbano essere abituati fin da subito a questa realtà. Più si va avanti e più si restringono le rose, si inizia a fare delle scelte di formazione, si finisce in panchina e il risultato inizia ad avere un peso: naturalmente con loro non posso parlare di competizione perché hanno nove anni, ma è giusto che inizino a sentir scorrere l’adrenalina.

A proposito di adrenalina, cosa significa fare un campionato senza la pressione della vittoria ad ogni costo?

Non si deve credere che sia facile, perché al di là delle frasi fatte perdere non piace a nessuno: se dovessi venire qui al campo sapendo che il risultato del campo non conta, me ne resterei a casa con la mia famiglia. Dobbiamo essere bravi noi a trasmettere un messaggio preciso ai giovani, facendogli capire che si deve sempre fare il meglio, senza adagiarsi sull’idea che ‘tanto dobbiamo solo salvarci’, altrimenti si rischia di vivere un campionato anonimo e senza stimoli. Loro lo stanno capendo, e al di là dei risultati del campo tutti stanno lavorando bene. Io, a 39 anni compiuti, non mi accontento mai: ho avuto la fortuna di giocare in serie B e nell’allora serie C, ho vinto molti campionati ma non mi sento appagato. Una volta sceso in campo punto a vincere, sempre, e finché avrò la forza di lottare per qualcosa, lotterò fino alla fine.

Anche due anni fa, d’altronde, si era partiti per salvarsi. Cosa ti manca di quel periodo?

Quella fu una vittoria splendida, era il mio secondo campionato vinto qui e mi ha lasciato tanti bei ricordi. Cosa mi manca? Tante cose. Mi manca Loreto Macciocca, un giocatore per cui stravedo (e lui lo sa bene visto che siamo molto amici), mi manca il modo di interpretare l’allenamento di Ruggero Panella, che vive ogni seduta come una guerra, proprio come Enrico Citro. Quando ti trovi a far parte di un gruppo di giocatori che sanno quello che vogliono è tutto più facile, con i giovani è diverso perché a volte rischiano di smarrirsi e devi guidarli, stare sempre sul pezzo, riprenderli se sbagliano. Ma anche questo aspetto del nostro lavoro è affascinante.

Tornando al campionato, la prima parte di stagione ha dimostrato che il Città di Ciampino può giocarsela con tutti.

Credo che la nostra sia una squadra che può vincere o perdere con chiunque: io prima della partita non penso mai all’avversario, ma mi concentro sui miei compagni perché so che se ognuno di noi fa il suo dovere diventa difficile per chiunque batterci. Se poi giochiamo al meglio ma perdiamo, stringiamo la mano a chi ci ha sconfitto e andiamo avanti. Il calcio è anche questo, soprattutto a questi livelli.

Al di là del tuo ruolo di istruttore, da grande credi che farai l’allenatore?

Mi piacerebbe. D’altronde faccio il capitano da parecchi anni, e per farlo è necessario essere un leader nello spogliatoio e in campo. Quando vedo come mi seguono i miei compagni, anche i più grandi, mi rendo conto di poterlo fare. Certo, quando giochi è più facile perché tutti ti danno ascolto, mentre quando alleni puoi diventare antipatico a qualcuno visto che devi fare delle scelte. Insomma, mi piacerebbe diventare un mister vero, ma solo dopo che avrò smesso di giocare.

Ma, come detto, finché ti divertirai, continuerai a giocare. E guardandoti in campo è evidente che tu ti diverti davvero!

Sono cresciuto in mezzo alla strada con il pallone tra i piedi e il calcio mi ha dato da vivere per tutti questi anni: era quello che volevo da bambino e mi auguro di riuscire a trasmettere la mia passione ai bambini che alleno e anche a mio figlio. Lo seguo e cerco di aiutarlo, senza però diventare invasivo: io ho fatto tutto da solo, papà faceva il vinaio e al massimo avrà portato due bottiglie di vino a Trigoria, e per Manuel sarà lo stesso. Mi interessa che faccia il suo percorso, che giochi e si diverta, poi si vedrà. Purtroppo ha la sfortuna di essere allenato da Martinelli e Porcella, quindi dubito che si potrà tirar fuori il meglio da lui! Scherzi a parte, se vorrà fare il calciatore ben venga, se come dice si aprirà un ristorante a Londra ancora meglio, ci trasferiamo tutti e via: almeno mi fa mangiare lui!

E poi c’è Melania, la tua principessa. Parla già dei primi fidanzatini?

Melania è la donna della mia vita, e guai a chi me la tocca. È una coccolona, e soprattutto ha un bel  caratterino! Di fidanzatini non si parla assolutamente, anche perché lei fino a 33-34 anni difficilmente uscirà di casa se non per andare a scuola, ma lì ce la porto io. Dopo quell’età vedremo se qualcuno la vorrà ancora, tanto ormai sarà vecchia quindi dubito!

Dai, fai per un attimo il serio. Che progetti hai per il prossimo anno?

L’anno prossimo smetto! (ride, ndr). Scherzi a parte, la scorsa stagione non l’ho fatto perché lasciare dopo una retrocessione non sarebbe stato bello. Quest’anno speriamo di fare un campionato dignitoso, almeno stavolta potrò appendere gli scarpini al chiodo sul serio!

Tanto, ormai, non ci crede nessuno…